TITOLO: Stampa Omaggio agli attori Danjūrō del Kabuki variante 1

Xilografia policroma a 48 colori, anno 1992

Tirature: 8 con colori e carte diverse

Tecniche impiegate in uso nel periodo EDO in Giappone:

Nishiki-E

Dipinti broccato, termine con il quale si prese ad indicare le xilografie policrome diffusesi a partire dal 1765 (incisioni su legno di pero o di ciliegio).

Bokashi

Stampa a colori sfumati

Gindei

Impiego di polvere d’argento per dare rilievo a particolari finemente ricavati nella stampa.

Karazuri

Stampa con parti realizzate con la sola pressione, senza colore, per ottenere il rilievo ed effetti tridimensionali.

Kindei

Colore dato da polvere d’oro per coprire minime parti della superficie della stampa con motivi decorativi.

Kinpaku

Impiego di foglia d’oro al fine di ricoprire superfici anche estese sulla stampa.

Kirazuri

Stampa a mica consistente nell’applicare particelle di polvere di perla e mica al fine di ottenere effetto argentato e brillante. Per la stampa dell’oro e argento.

Sabi-Bori

Metodo di incisione per ottenere nella stampa della calligrafia Giapponese l’effetto del pennello.

Legno: Le incisioni per i contorni e per i cliché sono state eseguite su legno di ciliegio (Sakura)

Carta: Carta pregiata Giapponese

Misura della stampa: cm 36 x cm 47

Sigilli in cinabro cinese

 

Traduzione Versi:                       Omaggio all’illustre discendenza Danjūrō del teatro Kabuki.

NOTA: Ho copiato la mano da una stampa di Sharaku perché vale la pena approfondire la conoscenza di questo importante personaggio. Ligustro.

Firma : Sigillo in alto a sinistra LIGUSTRO, altri sigilli dei censori

NOTA:

Da appunti di Ligustro presenti presso la Sala Ligustro che si trova nella Biblioteca Civica Lagorio ad Imperia.

 

Ichikawa Danjūrō è il nome d'arte utilizzato da una serie di attori kabuki appartenenti alla famiglia Ichikawa. Sebbene la maggior parte di essi avesse diretti legami di sangue, diversi Danjūrō erano in realtà stati adottati dal predecessore.

La linea dei Danjūrō è specializzata nell'interpretazione di un certo numero di ruoli rappresentati in una serie di opere chiamata Kabuki jūhachiban ("Le diciotto migliori opere kabuki"), che rappresenta una vera e propria mostra delle specialità della famiglia Ichikawa.

Nell'ambiente del teatro kabuki, il nome Danjūrō è molto famoso ed importante e riceverlo è considerato uno dei massimi onori. Per questo, così come accade per altri nomi di scena, esso è formalmente concesso in una cerimonia chiamata shūmei in cui diversi attori cambiano formalmente il proprio nome. Prima di prendere il nome di Danjūrō, che generalmente viene dato all'attore scelto quando questi si trova all'apice della carriera, infatti, un attore ha di solito già avuto altri nomi di scena quali Matsumoto Kōshirō, Ichikawa Shinnosuke o Ichikawa Ebizō (quest'ultimo è utilizzato a volte successivamente a quello di Danjūrō).

Il simbolo della famiglia Ichikawa, ossa il loro mon, è composto da tre quadrati inseriti l'uno dentro l'altro ed è chiamato mimasu o sanshō. Per questo, alcuni degli attori facenti parte della successione degli Ichikawa Danjūrō hanno utilizzato "Sanshō" come loro haimyō, ossia come soprannome o alias da utilizzare nei circoli poetici.

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kabuki Una delle principali forme drammatiche giapponesi, sorta all’inizio del 17° secolo. Erede di molti generi di spettacoli popolari basati su danza, recitazione e canto, secondo la tradizione ha avuto origine dalle rappresentazioni elaborate da una danzatrice, Okuni, ed eseguite con altre compagne sul greto del fiume Kamo a Kyōto nel 1603. L’iniziativa ebbe un immediato successo, ma ben presto il governo proibì alle donne di prendere parte allo spettacolo e, a partire dal 1652, tutti i ruoli del kabuki furono interpretati da soli attori maschi, convenzione che si è mantenuta fino ai giorni nostri. Nel suo sviluppo, il kabuki accolse elementi del nō e soprattutto del jōruri (teatro delle marionette giapponesi), portando sulla scena, come quest’ultimo, problemi, ideali e drammi della società urbana. Ōsaka ed Edo furono i centri principali.

I soggetti trattati spaziano dal leggendario al soprannaturale, da avvenimenti storico-militari a episodi di vita contemporanea. Nel kabuki condizione essenziale e imprescindibile è l’abilità dell’attore d’imporre a tutto il dramma il peso del proprio stile e della propria personalità.

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Come reazione al tradizionale teatro nō, genere nobile che prende ispirazione dallo stesso repertorio classico fin dal XVI secolo, il teatro kabuki si impose a Edo come genere anticonformista e popolare, che conosce la sua epoca d’oro nella seconda metà del XVIII secolo.

Basato su una recitazione eccessiva, privilegia l’azione drammatica e l’esaltazione delle passioni. Le maschere, che coprono il volto degli attori nel teatro nō, vengono abbandonate per rivelare le espressioni dei volti. Programmi illustrati, manifesti, ritratti commissionati dagli attori o dai proprietari delle sale: il teatro kabuki diventa un genere privilegiato dagli artisti di stampe.

 

NOTA:

Da appunti di Ligustro presenti presso la Sala Ligustro che si trova nella Biblioteca Civica Lagorio ad Imperia.

 

 

CENNI GENERALI ottobre 2001

TOSHUSAI SHARAKU

Autore di ukiyoe del periodo Edo, alcuni lo identificano con Saito Jurobei, attore No residente in Hacchobori (Edo, l'attuale Tokyo), alle dipendenze del clan degli Awa. In circa dieci mesi, dal maggio 1794 al febbraio 1795, Sharaku produsse più di centoquaranta opere, la maggior parte delle quali è costituita da ritratti di personaggi kabuki o kyogen, oltre a lottatori di sumo e guerrieri. Ventotto grandi primi piani di attori dai colori sgargianti su sfondo grigio sono tra i suoi lavori più apprezzati. A differenza della precedente produzione pittorica di volti o mezzobusti, come i ritratti della scuola Katsukawa o le figure muliebri di Utamaro, Sharaku si impadronì delle caratteristiche di ciascun soggetto, rendendole al pubblico arricchite di acume e realismo. Lungo il breve arco della sua carriera, l'artista passò abilmente da uno stile all'altro, da ritratti a figura intera a opere dallo sfondo elaborato, fino alle serie: è innegabile che la pittura dinamica del debutto fu presto abbandonata a favore dello statico stile successivo. La letteratura coeva, in particolare lo Ukiyoe Ruiko (Riflessioni sulle tipologie ukiyoe), fa riferimento a Sharaku in un unico passo: "Sharaku, sebbene si sia dedicato quasi esclusivamente a ritratti di attori kabuki, dipinse in maniera tanto realistica da turbare la suscettibilità di alcuni; le sue opere furono pertanto invise al pubblico per lungo tempo. La sua popolarità sorse e giunse a termine nell'arco di uno o due anni". Le menzioni successive sono rarissime. Nel 1910, con la pubblicazione di Sharaku, lo studioso tedesco Julius Kurth creò una sorta di boom di Sharaku in Occidente, al quale corrispose un ritorno di notorietà in patria: il misterioso autore venne in tal modo saldamente confermato nella rosa dei migliori artisti ukiyoe al mondo. Con l'aumentare della fama, il mistero intorno all'identità di Sharaku si infittì ulteriormente; egli apparve all'improvviso e all'improvviso scomparve, mutando sensibilmente stile in un breve lasso di tempo. La teoria dell'«altra identità», viva in Giappone, sostiene che Sharaku sia lo pseudonimo temporaneo di un artista affermato. I nomi più ricorrenti sono quelli di Maruyama Okyo, Utamaro e Hokusai, ma nessuna ipotesi è stata confermata scientificamente, sebbene tutte abbiano contribuito ad alimentare l'alone di leggenda che avvolge il personaggio. Le opere di Sharaku sono presenti in tutto il mondo presso, tra gli altri, il British Museum di Londra, lo Art Institute di Chicago e il Metropolitan Museum of Art di New York. Pochi lavori sono ancora in Giappone e, tra questi, ventisette ritratti custoditi presso il Tokyo National Museum sono stati dichiarati Importanti Beni Culturali. Tutte le xilografie di Sharaku sono state pubblicate dall'editore Tsutaya Juzaburo.

"Sharaku fu un sognatore che, novello Edipo, osò affrontare lo sguardo umano della passionale Sfinge. Una forza misteriosa si cela nelle pieghe grottesche del viso e nelle smorfie demoniache delle sue maschere No; nelle sue opere non vi è cupezza, ma un'imponente logica allegorica".

trad. da Sharaku, di Julius Kurth

Toshusai Sharaku, geniale artista ukiyoe nato a Edo, le prove del cui talento sono innegabilmente presenti nei ventotto ritratti risalenti al primo periodo della sua carriera: si tratta di stampe policrome, sebbene la gamma dei colori sia relativamente ristretta e la composizione, fatta esclusivamente dei quattro elementi di viso, mani, busto e sfondo grigio, sia molto lineare. Eppure, dopo un primo incontro, i ritratti restano scolpiti nella memoria, con il loro fascino indescrivibile e misterioso.

Credo che Sharaku abbia presentato la realtà in una forma che supera il realismo. Egli non ha ritratto fedelmente gli attori; li ha piuttosto rappresentati in maniera impressionistica, come se il ruolo da essi interpretato fosse subordinato alla loro vera identità, nascosta sotto il pesante trucco. Osserviamo Matsurnoto Koshiro IV nel ruolo di Gorobei, venditore di pesce a Sanya. Il personaggio, che aiuta due sorelle nella vendetta contro gli assassini del padre, è un uomo franco e con un alto senso dell'onore: le stesse qualità sono attribuibili, secondo le fonti, anche all'attore Matsumoto. Anche Onoe Matsusuke al pari del suo ruolo di vittima, Matsushita Mikinoshin, veniva spesso tacciato di fragilità e inconsistenza, presaghe dell'infausta sorte di entrambi.

L'espressiva interiorità dei soggetti rivela le qualità pionieristiche dell'artista Sharaku, di gran lunga superiore al mero artigiano xilografo. In un'epoca in cui le stampe di attori erano semplici ritratti miranti all'acquisizione del consenso del pubblico, Sharaku rappresentò la novità. I volti deformati e le espressioni caricaturali sono frutto del suo sguardo impietoso, della sua capacità di cristallizzare l'istante. Qual è dunque il senso di tale visuale gelida, apparentemente proiettata oltre, nello spazio? E' il primo sintomo della nebulosità di un'epoca che inizia a mostrare le debolezze del sistema politico shogunale? Oppure, è il riflesso delle tenebre aleggianti nell'animo di Sharaku?

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Toshusai Sharaku scomparve dalla scena artistica del suo tempo dopo soli dieci mesi di attività, nei quali realizzò 140 opere. Ignorato per più di un secolo, questo pregevole ma presto dimenticato genio dell'ukiyoe fu riscoperto dal tedesco Julius Kurth: la giusta considerazione della sua opera fu dunque reintrodotta in Giappone dall'Occidente.

Masanobu Ito Dipartimento delle Arti, The japan Foundation

La caricatura di una caricatura

L’intralcio maggiore all'apprezzamento di un'opera d'arte è la seccante esistenza dell’”artista". E' paradossale: l'artista sta, visibile, di fronte alla propria creatura e sembra interferire con il nostro pieno godimento di essa, sebbene egli non dovrebbe più avere controllo sul lavoro finito. Eppure il pubblico cerca l'autore all'interno dell'opera; l’”artista" si sovrappone gradualmente all'idea che ne abbiamo. La vita, la morte, i tanti episodi di cui è protagonista: questi elementi finiscono con il controllare la nostra immaginazione. L'autore dovrebbe essere un buco, una cavità da cui nasce l'opera. E' naturale che la persona che noi collochiamo in quel buco secondo il nostro istinto e colui che definiamo artista e ancora, costui non sarà mai lo stesso, ma apparirà diverso a seconda della nostra immaginazione, tempo e circostanze.

In questa accezione, Sharaku è un artista ideale che dovrebbe essere avvicinato a Shakespeare. Si è a lungo tentato di rintracciarne la vera identità, ma ciò ha soltanto contribuito a infittire il mistero. Le ipotesi sono state molteplici, dall'idea che fosse un attore di teatro No a eventuali connessioni con Hokusai; gli studiosi non riescono a riempire il vuoto infinito di cui essi semplicemente rappresentano la conferma.

Sharaku, sulla cui vita nessun aneddoto rimane. Sharaku, del quale resta soltanto l'opera. Considerato il periodo, tardo Edo (fine XVIII), ciò e sicuramente insolito, ed e questo che consente a Sharaku di essere il sovrano del regno dell'immaginazione. …….

In altre parole, il classico mistero di nome Sharaku può funzionare come cartina al tornasole della ricettività della nostra epoca.

Qual è dunque la forma dello Sharaku nostro contemporaneo riflessa negli occhi del pubblico straniero? Credo che non sarà semplicemente un'entità esotica. ………

A pensarci bene, fu uno storico dell'arte tedesco, Julius Kurth, a riscoprire Sharaku all'inizio del XX secolo: egli riteneva giusto considerarlo alla pari di Velasquez e Rembrandt. Come dimostrano le sue opere, Yasumasa Morimura condivide pienamente lo spirito di tale affermazione. Sharaku è tema immanente a sostegno del dialogo "oltre tempo e spazio" tra il Giappone e le altre culture.

Akira Tatehata Critico d’arte, docente presso l’Università d’Arte di Tama