DOMENICHE NEL PONENTE LIGURE

Di Angela Merlo

 

Ottobre: Oriente-Occidente

Oneglia. Via Des Geneys. Una via come tante con porte che si aprono sulla strada. Una di queste porte si schiude su un mondo magico. Come si può definire il luogo dove lavora Ligustro?

Studio? No, troppo sussiegoso.

Bottega artigiana? No, perché qui si crea arte.

Biblioteca? No, ci sono moltissimi libri ma non è una biblioteca.

Magazzino? Neanche perché, pur essendoci accatastate scatole e cartelle, non è un magazzino. Cos'è allora?

Io lo definisco un antro dove dimora la creatività, la bellezza, la cultura e sovrintende a tutto questo uno spirito indipendente, libero che è appunto Ligustro.

Finalmente oggi ci sono venuta in questo luogo e per due ore, tanto ci sono rimasta, ho attraversato mondi lontani: il Giappone, l'Asia, la loro storia, la loro filosofia, il loro modo di concepire la vita, il tempo.

Si è parlato anche del nostro tempo deteriorato, così poco incline alla quiete, alla bellezza.

Quest'anno ricorre il centesimo anniversario del movimento futurista che inizia col manifesto di Marinetti pubblicato sul Figaro nel 1909.

Si proponeva la rottura col tradizionalismo e si prendeva come simbolo la macchina .

Che fa Ligustro per questo anniversario? Ispirandosi alla "quiete" di Bashō, a una poesia del poeta persiano Hafez nato a Ciraz "la rosa" e ad un'altra poesia dedicata alla donna, compone un'incisione dal titolo "La quiete di un futurismo luminoso".

Veramente tutto è luminoso in questa incisione: la donna, le rose, le farfalle e bellissimi sono i colori con le lacche che danno corposità al disegno. Questa è la poesia sulla rosa del poeta Hafez:

Ero perso con lo sguardo verso il mare Ero perso con lo sguardo nell'orizzonte tutto e tutto appariva come uguale; poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione di essere imprigionata fra le spine, non l'ho colta ma l'ho protetta con le mie mani, non l'ho colta ma con lei ho condiviso e il profumo e le spine. Tutte quante. Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i suoi passi, ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafissi.

Un sua incisione, esposta a Berlino, in occasione del crollo del muro, è stata ora esposta all'Archivio Centrale di Stato di Roma.

Sullo sfondo in azzurro ci sono i contorni delle nazioni coperte da un elmo greco-romano, uno austro-ungarico e uno islamico e dietro le ossa che in alto ben definite mentre scendono diventano sempre più bianche fino a sbiadire in un bianco polveroso.

Un'idea geniale per far capire cos'è il potere. Sta facendo anche copie identiche a quelle di Hiroshige - le campanule. La sua arte continuerà attraverso Edhèra pittrice e sua allieva. Ho visto una sua incisione molto significativa. È raffigurato Ligustro, vestito di un kimono e voltato all’indietro come uno che se ne va, ma lascia dietro di sé la bellezza. C'è un grande sole con strisce più scure che lo attraversano. Anche in questo lavoro bellissimi colori e lacche. Questa incisione è stata ispirata da uno scritto di un poeta inglese Swinburne che stanco del giapponesismo imperante in una sua poesia scrive: "Vattene, farfalla, torna in Giappone".

Il titolo dell'incisione di Edhèra è significativo: "il ritorno delle farfalle".

La bellezza non può scomparire, ci sarà sempre qualcuno che ce la farà amare.

Con lo stesso titolo ha fatto un'incisione anche Ligustro, di forma ovale e un'altra più semplice e insolita: "lui che se ne va".

Tornando in treno guardavo il mare; questo mare Mediterraneo intorno al quale sono fiorite splendide civiltà, ricchezza per il mondo di cultura e di bellezza. L'uomo fa grandi progressi nella scienza, ma meno si cura dell'arte e della poesia.

Giuseppe Conte in un articolo sul poeta arabo Adonis scrive: "Bellezza, vino, eros, poesia (e io aggiungo bellezza).

Ecco le risposte alla barbarie, alla violenza cieca dei potenti.

La poesia (e la bellezza) resiste e rivive, ritorna con una sua nuova energia confondendo i confini tra oriente ed occidente, in nome di quanto c'è di più umano (e più divino) “nell'uomo".

In Ligustro Oriente e Occidente si incontrano in un "Futurismo luminoso".

 

Comunicazione

Se questa è l'era della comunicazione come vorrei tornare indietro di secoli quando la parola aveva un preciso significato e un uso limitato e pensato. Penso ai tempi della posta portata da una diligenza.

Immaginate la gioia nel ricevere una lettera, aprirla con trepidazione, leggerla, rileggerla in attesa di riceverne un'altra!

Non era meglio leggere le notizie di quello che succedeva nel mondo su un giornale?

C'era tempo di esaminarle e approfondirle con la propria ragione e le proprie idee.

Che ne dite delle migliaia di notizie che ci sommergono dal video?

Per scuoterci oramai devono esserci almeno migliaia di morti o toccarti nelle nostre sicurezze. Di quelli che non conosciamo o sono di paesi poveri che ce ne importa?

Le notizie scivolano su di noi come acqua che scorre su un vetro o come dicono i francesi "Comme une auguille qui glisse sur la roche". Orbene, viviamo nel 2000 e si comunica con tutto: posta, computer, televisione, video e soprattutto con il telefonino - portable per i francesi ­ infatti si porta appresso come una parte di noi stessi; ci sono cinture con annesso portatelefonino, tipo cintura da cow-boy con porta pistola, ce n'è un altro che attraversa il petto, un po' come le madri dell'Africa o dell'Asia che si portano il bambino sul petto o sulla schiena e molti altri modelli che sapete anche voi meglio di me che non sono molto ferrata sulle mode.

Direte: "Questa ha certamente un'età avanzata, per questo ce l'ha col telefonino".

E’ vero ho un'età avanzata ma non ce l'ho con questa invenzione che, come tutte le invenzioni, è molto utile se usata bene.

Ce l'ho con l'uso sconsiderato che se ne fa.

Vi spiego perché, ma per spiegarvelo dovrò riferire alcune mie esperienze.

Se volete capire perché ce l'ho col telefonino andate su un mezzo pubblico.

La mia esperienza l'ho fatta in treno. Mese di luglio.

Parto un pomeriggio per Mondovì. Fa caldo, treno stracolmo tanto da non poter quasi salire, infatti rimango in piedi addossata alla porta dei servizi con la valigia stretta tra le caviglie perché in quell'ammasso non si volatilizzi.

Vicino a me c'è un giovanotto col telefonino pressochè costantemente all'orecchio.

Ogni tanto parla, ogni tanto ascolta, ogni tanto maledice, qualche volta bestemmia perché nelle gallerie cade la linea.

Rifà il numero, parla, cade la linea, maledice e questo fino a Mondovì dove, fortunatamente, scendo e ad accogliermi c'è una piazza alberata e un taxi che mi porta a Fiamenga tra campagne e boschi.

Resterò tre giorni e potrò godermi il silenzio, le voci della campagna, la compagnia di amiche, anch'esse col telefonino che però usano pochissimo e con discrezione lontano dagli altri.

Mese di agosto.

Ho ospiti in casa mia.

Tre ragazze, due giovani, una un po' meno.

La più giovane è dotata di telefonino che usa abbondantemente ad ogni ora del giorno.

Lo usa anche per messaggini con l'amica che abita di fronte e con la quale può parlare anche dal terrazzo.

lo taccio facendomene una ragione: è giovane! L'ha appena comprato ed è ancora nel momento euforico dell'acquisto!

Passano i giorni ed il suono di un complesso inglese aleggia per casa fino a un fatidico mezzogiorno in cui i miei nervi cedono e intimo alla ragazza di spegnere quell'aggeggio almeno a tavola.

Sapete perché? Non tanto per il telefonino in sé, quanto per la banalità dei messaggi.

Sentite: "hai dormito stanotte?" - "non ho dormito" - "chissà cos'hai fatto".

Oppure: "com'è il tempo?" - "bello" - "beata te qui piove".

O ancora: "sono partita da Finale, tra poco arrivo" e dalla stazione di Loano, che dista da casa trecento metri altra telefonata "sono arrivata" e così via...ma quella che mi ha fatto crollare è stata la telefonata, all'ora di pranzo, dell'amica di Como che doveva partire da Genova col traghetto per andare in Sardegna.

Sul tavolo c'è la pastasciutta fumante, suona il solito motivetto del complesso inglese; è l'amica che chiede com'è il mare a Loano.

Sono sbottata buttando fuori tutta la sopportazione delle settimane precedenti.

Dì alla tua amica - le ho detto - che da Loano a Genova ci sono 75 km e il mare qui può essere calmo e a Genova burrascoso o viceversa.

Da quel giorno, almeno a tavola, siamo stati in pace.

Mese di settembre.

Mese dolcissimo. Il sole ha dei bagliori d'oro antico; la campagna, dopo l'aridità estiva, ritrova colori vivi e freschi; i greti dei torrenti dispiegano siepi di topinambur, astri e settembrine colorano i giardini; tolte le cabine il mare si mostra in tutta la sua grandiosità e sembra respirare insieme alla terra.

Colma di queste bellezze parto per Porto Maurizio.

Vado a vedere una mostra collettiva di pittura; alcuni pittori li conosco. Già mi pregusto il viaggio; troverò un posto vicino al finestrino, guarderò il paesaggio, forse mi verrà anche l'ispirazione per una poesia!

Salgo sul treno, trovo il posto accanto al finestrino vicino ad una signora bionda dall'aspetto gentile.

Suona il telefonino, risponde, chiama lei, la richiamano.

Dapprima non capisco il perché di tanto furore, poi, dalle sue parole, dalla conversazione, capisco che sta andando ad un funerale e si sta mettendo d'accordo con la parentela su orari, mezzi di trasporto per andare a Ventimiglia, per andare a prendere la zia anziana, per dirlo alla nonna che, poverina è vecchia, e potrebbe risentirne.

In poco tempo so moltissimo della famiglia; del morto niente, né il nome, né l'età, né di cosa è morto.

È veramente morto; i vivi invece si danno un gran daffare.

Il paesaggio l'ho guardato, ma come potevo gustarlo col sottofondo sonoro dell'organizzazione di un funerale?

Non parliamo poi di poesia! Anche la mostra mi delude un po'.

Ma come non uscire un po' delusi quando il tema della mostra è addirittura preso da S. Agostino: "Tardi ti ho amato bellezza antica e nuova"?

Solo alcune sculture in legno e qualche dipinto mi hanno fatto sentire la bellezza, altri mi sembrano banali e neanche tanto inerenti al tema.

Forse - vi dico - sono io che non capisco e pretendo troppo.

Fine settembre.

Devo andare ancora ad Oneglia.

Come la volta precedente mi preparo a guardare il mare, le colline, ad osservare i colori dell'autunno, a godere della quiete dopo la ressa estiva. Il vagone è quasi vuoto, trovo un buon posto, mi siedo.

Che succede?

Il giovanotto seduto qualche fila davanti a me e che mi sembrava straniero tiene tra le mani un telefonino, segno evidente che l'ha già usato, chiama.

È italianissimo e parla, lo capisco dal discorso, con un altro giovane.

È un susseguirsi di chiamate da parte sua agli amici e dagli amici a lui; deve averne moltissimi. Parlano dell'università di Genova, di amici comuni, di programmi, di alloggi, sono edotta sui prezzi degli appartamenti.

E’ un intercalare continuo di okey, okey, okey. Siamo quasi a Diano Marina e dice al telefono: "sto arrivando"; respiro di sollievo.

Da Diano Marina a Oneglia il percorso è breve ma potrò ancora godermi uno scorcio di viaggio. Illusione! Dietro di me un uomo - non vedo il suo viso - sta parlando al telefono di conti da pagare, di pratiche da evadere.

Credo sia un ragioniere impiegato in qualche ditta.

Pazienza...

non ho potuto gustare il paesaggio, non mi è venuta l’ispirazione per una poesia, mi è venuto solo lo spunto per raccontare queste esperienze. Arrivata ad Oneglia vado a trovare un Maestro. Questo era lo scopo del mio viaggio.

Entro nel suo studio che non conoscevo. E’ al tavolo da lavoro.

Silenzio, dipinti appesi ovunque, centinaia di libri di poesia, di pittura, d'arte, un tavolo coperto di attrezzi, di colori.

Il Maestro fa delle Xilografie con un antichissimo metodo giapponese, il Nishiki - E.

Non posso descrivere com'è questo metodo tanto è complesso; posso solo dire che per fare una xilografia deve incidere centinaia di tavolette di legno di ciliegio da fiore, preparare i colori con conchiglie, perle, lacche, oro, argento.

È un lavoro che può protrarsi per mesi per una sola opera.

Sono entrata in un regno di pace dove il Maestro, lavorando nel silenzio, ha il tempo di pensare ed applicare alla vita una antica saggezza. Un luogo dove il lavoro, la pazienza, la bellezza hanno ancora un significato profondo.

Quando arrivano gli amici - poiché la porta è sempre aperta - e si parla, la parola è misurata sul reale ma correlata a qualcosa che supera la quotidianità e diventa spazio, tempo umano, universale .

È comunicazione vera.

Ritorno a casa in treno.

Sta scendendo la sera, una dolce sera di autunno. Quieta, nel respiro del mare e del profilo dei monti.

Meraviglia!

C'è poca gente e non squilla nessun telefonino.

Ma è vero o forse sono io che non li ho sentiti persa com'ero nel ricordo della bellezza e della saggezza che un lontano popolo, attraverso il Maestro, mi ha comunicato?

 

Estratto dal libro

Finito di stampare

nel mese di settembre 2018 nella Tipolitografia Ciuni snc

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17031 Albenga (Sv)

per conto delle

EDIZIONI DEL DELFINO MORO

di Diego Delfino

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